lunedì 4 novembre 2013

Piacere, mi chiamo Maria Luisa





Mi chiamo Maria Luisa Cini e sono nata a Roma nel 1960. Mio padre morì quando mia madre rimase incinta del suo terzo bambino. Cosi, per mancanza di mezzi di sostentamento, mia madre fu costretta a ritornare  nella sua regione d’origine: il Friuli. Ho un fratello e una sorella più piccoli di me che sono sposati. 

Siamo cresciuti in quartieri popolari e, mio fratello ed io, abbiamo passato alcuni anni della nostra infanzia in un collegio gestito da suore. Non era un ambiente molto felice e da subito mi convinsi che Dio non esisteva e, se mai fosse esistito, era abbastanza crudele da averci abbandonati a noi stessi. Mi venne insegnato che dovevo seguire le regole e i riti cattolici, confessare i peccati una volta a settimana (e da bimba ingenua che ero, inventavo parecchi peccati che non commettevo pur di ricevere l’assoluzione), dovevo fare la comunione, la cresima e cercare di essere più buona possibile, cosa che non sempre mi riusciva.
Quando avevo 9 anni mia madre si risposò e mio patrigno ci tolse dal collegio. Ben presto però, iniziò a bere e la nostra vita si trasformò in un inferno. Con noi abitava anche mia nonna, molto malata e, a causa della malattia o di come lei stessa era stata cresciuta, alle volte era molto violenta. 

A 14 anni iniziai a lavorare e a frequentare discoteche, a bere e fumare… mi sentivo grande, adulta e cercavo di rimanere il più possibile fuori casa. La mia vita era totalmente vuota e priva di senso… lo era tutta la nostra vita familiare in effetti. Andavamo avanti per forza d’inerzia. 

Un giorno, in preda a una crisi isterica, presi un tubetto di pillole e, davanti agli occhi di mia madre, ne ingurgitai parecchie, dicendole che per me era meglio morire che vivere in quella famiglia. Mi chiusi in camera e, stesa sul letto aspettavo la morte… che però non giunse. Dopo un po’ sentii mia madre dalla cucina che mi diceva: “Tanto non morirai affatto con queste pasticche… avrai solo tanto mal di pancia…” Avevo preso il tubetto sbagliato. Un’altra volta mi trovavo sul ponte del Diavolo a San Daniele, anche li ero pronta a buttarmi di sotto, ma un automobilista che mi riconobbe mi soccorse, penso in tempo.

A 16 anni il Friuli fu letteralmente scosso da un tremendo terremoto e, dato che la nostra casa era seriamente danneggiata, passammo diverso tempo in un prefabbricato fornitoci da alcuni missionari credenti venuti dal Messico per soccorrerci. 

Un giorno tre giovani vennero da noi per portarci una Bibbia e uno studio biblico ordinato per corrispondenza da mio fratello. Per lui era un affare perché gratis. Quando aprii la porta, mia madre ed io eravamo in piena litigata con urla e bestemmie. I tre giovani entrarono, due erano canadesi e non capivano una sola parola di quanto stavamo dicendo. L’altro un giovane di Ferrara, ci disse con voce angelica: “Siamo venuti per dirvi che Dio vi ama e che Cristo è morto per voi” al che, mia madre ed io, cominciammo a infierire contro di loro e a trattarli malissimo. Dopodiché, mi alzai e li sbattei letteralmente fuori casa. Francesco, il giovane italiano, ci disse dall’altra parte della porta: “torniamo domani, magari sarete più calme.” E così fu, eravamo più tranquille e sia mia madre che io ci sfogammo con lui raccontandogli tutte le nostre sofferenze e delusioni. Non ho molti ricordi di quel periodo, ma ricordo che Francesco ci disse: “Io so che Dio fa la differenza nella vita delle persone. Venite domenica al nostro culto, ascoltate, osservate e poi ne parliamo.”    

Nei giorni seguenti, in attesa della domenica, mentre camminavo per strada, più volte dissi a Dio nel mio cuore: “Se ci sei, batti un colpo… se esisti veramente, fatti sentire… dammi un segno… io non ce la faccio più a vivere questa vita. Dimostrami che esisti.” Questo era il mio grido verso Dio. La domenica ci recammo in una roulotte dove un piccolissimo gruppo di credenti (non più di una quindicina) si incontravano. In precedenza avevo frequentato i Mormoni in cerca di risposte e amicizia, quindi, mentre mi trovavo lì, decisi nel mio cuore di non farmi coinvolgere in un’altra setta. Due cose mi colpirono: la prima, la calda accoglienza che avevo ricevuto dal gruppo. Una ragazza canadese mi abbracciò forte forte e mi disse di essere felice di conoscermi… mai nella mia vita qualcuno mi aveva trasmesso un tale calore o mi aveva abbracciata così forte. Mi chiesi perché mi dimostrasse tanto amore, dopotutto era la prima volta che mi vedeva… boh… La seconda era che tutti avevano una propria Bibbia e  ne misero una in mano anche a me.
Mentre si svolgeva il culto, io sfogliavo distrattamente la Bibbia e, guarda caso, la aprii al momento dell’arresto di Gesù nel Getsemani; iniziai a leggere e feci il tifo per Pietro mentre staccava l’orecchio a Malco, ma rimasi sconcertata dalle parole e atteggiamento di Gesù: “Ed ecco, uno di quelli che erano con lui, stesa la mano, prese la spada, la sfoderò e, colpito il servo del sommo sacerdote, gli recise l'orecchio. Allora Gesù gli disse: «Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, periranno di spada. Credi forse che io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni d'angeli? Come dunque si adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che così avvenga?»”(Matteo 26:51-55)

E li mi fermai: o Gesù era un pazzo, o un maniaco suicida oppure era un uomo veramente straordinario. Continuai a leggere della sua morte e resurrezione e le lacrime iniziarono a scorrere sul mio viso. Pregai nel mio cuore e chiesi a Dio di perdonarmi, di darmi una nuova esistenza, uno scopo per vivere e andare avanti, una speranza per il futuro e Dio rispose. Mi sentii di nuovo abbracciata forte forte e questa volta dal Creatore in persona. Nel mio cuore sentii che finalmente avevo un Padre.

Nei giorni seguenti divorai letteralmente la mia prima Bibbia e, giorno dopo giorno, Gesù divenne il mio migliore amico, confidente, Signore, Padrone, Redentore. Decisi che avrei vissuto per Dio e che niente e nessuno mi avrebbe impedito di seguire Cristo, dovunque Lui avesse voluto.

Però, aumentarono le difficoltà con il mio patrigno, mi innamorai di un ragazzo non credente, lasciai la casa e iniziai a bere sul serio, quindi per un bel po’ di tempo mi dimenticai della promessa fatta a Dio. Passai così un anno a zonzo per il circondario di Udine alla ricerca di lavoro, spesso in situazioni pericolose, ma sempre protetta e salvata in extremis da Dio. Finalmente mi fermai e trovai casa a Pordenone con una ragazza della zona. Lei ascoltava una radio strana che trasmetteva tanta bella musica e niente pubblicità. Un giorno lo speaker di turno, parlò di un brano della Bibbia, Romani 8:28-39, e lo Spirito Santo dentro di me mi colpì in maniera molto diretta facendomi capire che avevo dimenticato e ignorato del tutto queste stupende parole. Mi inginocchiai, chiesi perdono a Dio e gli promisi solennemente gli avrei dimostrato serietà e impegno nel mio essere Sua figlia e discepola di Cristo. Quel giorno consacrai la mia vita a Lui e ricominciai daccapo il mio rapporto con Dio. Mi misi subito in contatto con tale emittente radio e dopo una settimana iniziai uno studio biblico con Vichi, una missionaria texana. Dopo circa un mese mi trasferii a casa sua. Ricordo che, quando tornavo dal lavoro, ci sedevamo in cucina, io mi preparavo il mio doppio wischy con ghiaccio, accendevo la mia sigaretta, aprivo Bibbia e quaderno e le dicevo: “Ok, Vichi, che cosa studiamo oggi?”
Piano piano, attraverso lo studio delle Scritture, compresi che dovevo eliminare dalla mia vita tutte quelle cose che Gesù non avrebbe mai fatto o desiderato da me. Ce lo vedi tu Gesù con il Suo wischy e sigaretta mentre predica il Sermone sul Monte? Ho anche lasciato il mio fidanzato che non voleva accettare Gesù come Signore e vivere per Lui. È stato doloroso? Tantissimo, ma ne è valsa proprio la pena. 

Nel 1979 Dio mi ha guidato a frequentare una scuola biblica a Roma. Per tre anni ho studiato le Scritture focalizzato meglio la mia chiamata al Suo servizio. Un giorno il preside della scuola predicò da Isaia 6:8 e il richiamo di Dio non mi dava pace… era come se Dio aspettasse una mia personale risposta: “Chi manderò e chi andrà per noi?” Finalmente, dopo giorni di preghiera e riflessione, mi sentii pronta per dire: “Eccomi, manda me”. Ma dove? Come? Quando? Un versetto in Ecclesiaste fu la mia guida nei primi anni dopo il termine dei miei studi: “Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze…”, (9:10) e così feci. Per molti anni ho collaborato con una missione a favore dei non vedenti, con alcune emittenti radio, con Voce della Bibbia e attraverso questi impegni ho realizzato che Dio mi stava preparando per l’evangelizzazione tramite la radio, strumento da Lui utilizzato anche nella mia vita.

Nel corso degli anni Dio si è servito di varie persone e situazione per raffinarmi e modellarmi e so che continuerà a farlo. Uno strumento che Dio ha usato tantissimo nella mia vita è stata una malattia cronica che mi sono portata dietro per circa 24 anni, mi ha procurato parecchi disagi e dolori fisici alle volte molto pensanti. Ho passato parecchie settimane in ospedale senza sapere quando e se la situazione sarebbe mai migliorata. La presenza di Dio e la Sua Parola mi hanno dato la forza di sopportare ogni cosa, sapendo che la grazia di Dio era più che sufficiente per me e che io posso ogni cosa in Cristo mia forza (2 Corinzi 12:8-10; Filippesi 4:13). Ad un certo punto Dio ha detto basta alla malattia che, misteriosamente, è scomparsa da circa 10 anni. I medici continuano a tenermi sotto controllo, ma ad ogni analisi, il riscontro è sempre negativo. Per me gli anni di dolore fisico sono stati una scuola di vita molto preziosi e, anche se molto pesanti, ringrazio Dio per avermi accompagnato in quell’avventura di crescita e maturità. Ho imparato che quando Dio permette ad un suo figlio di ammalarsi al punto da dover essere ricoverato in ospedale, è perché lì c’è qualcuno che ha bisogno di ascoltare il Vangelo. Non sempre ero in grado di parlare o testimoniare, ma quando potevo coglievo l’occasione di farlo. Lodo Dio per una anziana suora che ha accettato il Signore nel corso del mio primo ricovero a Roma, ha tolto i suoi abiti ecclesiastici ed ora sono sicura ha indossato la sua veste bianca di cui ci parla Giovanni in Apocalisse.   

Dal 1995, grazie all’intervento di Davide Tucker, ho iniziato a lavorare a Perugia presso Radio Luce a fianco di una famiglia missionaria, i  Whitman. Le sfide non sono assolutamente finite, anzi, in questi 18 anni ne abbiamo affrontate tante insieme, ma con esse abbiamo anche sperimentato grandi vittorie, abbiamo visto Dio all’opera nella vita di molte persone raggiunte dal Vangelo tramite la radio, la TV, l’evangelizzazione a tu per tu, seguita dal discepolato. Il Pastore Fred Whitman ha iniziato la chiesa qui con 2 donne anziane: ora la domenica superiamo quasi regolarmente il centinaio di persone. Con la radio, in modo particolare, possiamo entrare in case, ospedali, prigioni (fino ad ora il pastore Fred ha predicato e insegnato regolarmente in 5 carceri) e in luoghi che non potremmo mai raggiungere personalmente. Ora, con lo streaming audio, siamo ascoltati veramente fino all’estremità della terra: abbiamo ricevuto riscontri dal Giappone, dal Messico, dagli Sati Uniti e da altri paesi da parte di italiani che ci ascoltano. 

IL brano della Scrittura che Dio usa per continuare a incoraggiarmi e spingermi avanti, nonostante momenti o situazioni difficili, si trova in Isaia, 40:28-31: “Non lo sai tu? Non l'hai mai udito?Il SIGNORE è Dio eterno, il Creatore degli estremi confini della terra; Egli non si affatica e non si stanca;la Sua intelligenza è imperscrutabile. Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stancano;i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano.”

Diverse volte, a causa della mia malattia, mi sono trovata vicina alla morte fisica e, soprattutto l’ultima volta, ero strepitosamente felice e pronta di andare a Casa da mio Padre. Quando ho riaperto gli occhi, risvegliandomi dopo un po’ di tempo, guardando la mia stanza d’ospedale ero veramente delusa di essere ancora qui sulla terra, ma ho capito che c’è ancora del lavoro da fare e, fino al momento in cui vedrò faccia a faccia il mio Signore, intendo servirlo ed onorarlo con tutte le mie forze. Mi chiedo spesso perché Dio abbia scelto proprio me per il Suo servizio alla radio… poteva scegliere qualcuno più intelligente, più capace, meno handicappato di me… e Dio mi ricorda che “La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». E la mia risposta a questa promessa è: “Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. Per questo mi compiaccio in debolezze,(…) in necessità, (…) in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte.”(2 Corinzi 12:8-10)

A Dio sia la Gloria.

Maria Luisa Cini