giovedì 22 dicembre 2016

Nove mesi nel grembo di Maria







Felice natale a tutti voi, felice nel ricordo dell'avvento più importante della storia umana: l'Emmanuele, l'Iddio con noi, si è incarnato per la nostra salvezza. Io non sono mamma, non ho mai portato in grembo un bambino per nove mesi, non ho mai partorito, non ho mai tenuto fra le braccia un mio bebé bisognoso di cibo e di ogni aiuto per sopravvivere. Ultimamente nella nostra chiesa, ci sono state alcune nascite un po' difficoltose che ci hanno portato a pregare più che mai per le mamme e i loro piccini. Vorrei dedicare a tutte le mamme che mi leggono questo articolo, che ho trovato molto, ma molto interessante e che ci porta a riflettere in un modo ancora più profondo del grande mistero e miracolo dell'incarnazione di Dio. Certo, l'articolo è un po' lungo, ma vi garantisco che lo leggerete tutto d'un fiato! 


Nove mesi nel grembo di Maria - Avvento di speranza per madri
di Jasmine Holmes
(Coram Deo in partnership con Desiring God - www.coramdeo.it)
 

 
Una delle poche cose di greco che mi ricordo dal breve periodo in cui l’ho studiato alle superiori è la prima parte di Giovanni 1. Ho dimenticato quasi tutto l’alfabeto, e quel po’ di termini che ero riuscita ad imparare, ma riesco ancora a recitare alcune delle amate prime parole dei discepoli sulla Parola. Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Egli era nel principio con Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e senza di lui nessuna delle cose fatte è stata fatta. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini (Giovanni 1:1-4). Il primo capitolo di Giovanni è forte per molte ragioni, ma nel corso dei mesi scorsi, la parte più sbalorditiva di questo brano per me è stata Giovanni 1:14: “E la Parola si è fatta carne ed ha abitato fra di noi”. Essendo mamma da poco, leggendo questo verso ho pensato: “Wow, l’architetto dell’universo ha progettato il mio corpo in modo da poter dare la vita e poi è entrato nello stesso processo diventando il bimbo di una mamma”.

NON SOLO PER L’AVVENTO
Ho partorito circa a metà estate. Anche se io e mio marito abitiamo nella tundra ghiacciata che chiamano Minnesota, la neve si era sciolta già da un po’, i canti natalizi erano scemati e anche la più negligente delle famiglie aveva riposto le luci di Natale. “Mary Did You Know” non si sentiva più per radio. Eppure, mentre si avvicinava la nascita di nostro figlio, i miei pensieri ritornarono più volte alla scena della mangiatoia, facendomi sempre più meravigliare man mano che i giorni passavano. Pensai a Maria, visitata dall’angelo Gabriele. Pensai non solo alla monumentale verità della promessa che aveva preannunciato per il figlio di Maria (Luca 1:31-33), ma mi vennero in mente cose a cui prima non avevo mai fatto molto caso. La madre di Cristo era una donna il cui corpo era divenuto un sacrificio vivente per Lui, proprio come il mio corpo era diventato un sacrificio vivente per mio figlio. Aveva anche lei le nausee mattutine? Venivano anche a lei i dolori che la svegliavano improvvisamente e la costringevano a dormire di fianco? Si metteva anche lei le mani sul ventre per sentire il bimbo scalciare e danzare? Come ha fatto al nono mese di gravidanza a salire su un asino?

LA PAROLA È DIVENTATA CARNE
Non mi sono mai sentita così vicina a Gesù come quando è nato il nostro bimbo. Vero, non avevo ricevuto la visita di un angelo, e anche se mio figlio è fatto ad immagine di Dio e spero che un giorno diventi un figlio di Dio, non era IL Figlio di Dio, concepito verginalmente dalla potenza dello Spirito Santo. Ma Gesù aveva una mamma, che era stata una donna incinta e aveva sopportato le doglie – niente meno che in un fienile – per dare alla luce il Creatore del mondo portandolo nella sua stessa creazione.

È SCONVOLGENTE.
Cristo è venuto sulla Terra attraverso le stesse modalità che sin dalla notte dei tempi hanno dato la vita all’essere umano. Sua madre si è unita al lungo elenco di donne che hanno sacrificato i propri corpi per portare alla luce una nuova vita ed ogni madre dopo di lei ha seguito le stesse orme. La gravidanza e la maternità sono un’immagine bellissima, ed un ricordo costante, del fatto che la Parola è diventata carne. Lui ha accondisceso ad entrare nel ciclo della vita che va avanti sin da Adamo ed Eva. È la realtà più semplice e allo stesso tempo più complessa di tutte, quella di nutrire un bimbo nel grembo. E Cristo ha scelto di prendere parte a questa bellissima semplicità. Ha passato tutto il ciclo della vita, iniziando nel grembo di una donna, come tutti gli esseri umani.

TUTTE LE COSE SONO STATE FATTE PER MEZZO DI LUI
Il Creatore ha scelto di essere intessuto come un bimbo nel grembo di una mamma proprio come i nostri figli sono stati intessuti dallo stesso Creatore. Imbarcandoci in questo viaggio della maternità sappiamo che il nostro Dio non solo lo ha decretato, ma anche vi ha preso parte. Il Creatore e sostentatore della vita un giorno è stato un bimbo nel grembo di sua madre. E tu, mamma in attesa, figlia dell’Altissimo, sei stata benedetta per portare in grembo un figlio tutto tuo. In un mondo devastato dagli aborti, è strabiliante pensare che il nostro Salvatore un giorno sia stato un feto. La sacralità della vita che cresce in una donna incinta è impressa ogni giorno, non solo nella rapida crescita di quel minuscolo essere umano o nell’altrettanto rapido sviluppo del pancione, ma nella personalità che gli è stata impressa dal Salvatore, la cui identica natura sulla terra è iniziata proprio allo stesso modo.

HA DIMORATO FRA DI NOI
In quanto neomamme, siamo chiamate a fare un sacrificio incredibile. I nostri corpi si deformano e cambiano in modi che non pensavamo neanche fossero possibili. Tutto, dai fianchi ai capelli all’umore, viene sottoposto ad un drastico cambiamento che, Dio volendo, culminerà nella nascita che porterà il nostro corpo alla prova più estenuante – e ad un figlio che sottoporrà il nostro cuore alla stessa prova. È la cosa più strabiliante e miracolosa del mondo – qualcosa che solo l’Autore sovrano della vita poteva realizzare, ma è anche la cosa più normale e consueta del mondo. Oggi sono nati più di 300.000 bambini, e lo stesso accadrà domani. È una parte così normale della nostra esistenza umana sulla terra, che il Figlio di Dio stesso ha subito lo stesso processo per diventare carne e venire ad abitare fra di noi. E' grazie alla sua venuta sulla terra come bambino, alla sua crescita e alla sua morte in croce, che la maternità non è semplicemente un ciclo naturale della vita, ma un periodo di santificazione – una serie di settimane e di mesi in cui possiamo diventare sempre più simili  a Cristo e più pronte ad un glorioso futuro con Lui. Cristo dona alla maternità il suo significato più profondo. E tutto è iniziato quando lui è diventato un bimbo.

(Traduzione a cura di Susanna Giovannini)


Vangelo di Luca 1:28-35

Gabriele le apparve e disse: 
«Ti saluto, Maria! Il Signore è con te. Egli ti ha colmato di grazia».
  Confusa e turbata, Maria cercava di capire 
che cosa volesse intendere l'angelo.
 
«Non aver paura, Maria!» le disse l'angelo, «perché Dio ha deciso di benedirti in modo meraviglioso! Fra poco sarai incinta e avrai un figlio maschio, che chiamerai Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo. Il Signore Dio gli darà il trono del suo antenato Davide. 
Ed egli regnerà su Israele per sempre; il suo regno non finirà mai!»
  Maria chiese all'angelo: «Ma come posso avere un bambino? 
Sono vergine».
  L'angelo rispose: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza di Dio ti coprirà con la sua ombra, perciò il tuo bimbo sarà assolutamente santo, il Figlio di Dio. 


lunedì 12 dicembre 2016

Fai bene a irritarti così?



Vi è mai capitato di “litigare” con Dio? A me sì!

Non so voi, ma sin da bambina sono sempre stata una persona irascibile, pronta ad alzare la voce e al bisticcio. Quando a casa mia litigavamo, straparlavamo alzando la voce, convinti che, un tono di voce alto, ti porta alla vittoria verbale. Da grande, quando avevo già conosciuto il Signore, non ho perso automaticamente il vizio di straparlare o alzare la voce quando discutevo. Ricordo, in modo particolare, un periodo natalizio in cui mia sorella ed io avemmo una discussione su un determinato argomento. Avevo completamente torto e l’avevo aggredita brutalmente con le mie parole. Poi mi pentii e le chiesi perdono. Lei era ed è molto più saggia di me, quindi, mentre io volevo ad ogni costo chiarire la situazione immediatamente e con le mie parole, lei preferiva il silenzio, sbollire con una passeggiata e quindi, una volta calma, chiarire e perdonare nel modo giusto. Io: “La Bibbia dice che il sole non deve tramontare sul nostro cruccio, quindi parla… dì qualcosa…” e via dicendo. Annalisa in silenzio ed io: “Parla… parla…”. Alla fine lei uscì da casa con queste parole: “C’è ancora tempo per il tramonto…”, in effetti, era appena iniziato il pomeriggio… Grazie a Dio oggi sono migliorata da quel punto di vista (almeno spero!)

Ho tanta compassione per Giona il profeta: poverino, Dio gli aveva chiesto di andare dalla popolazione più crudele e cattiva della sua epoca per annunciare il giudizio e offrire loro una via di salvezza; poi Dio aveva disciplinato la sua disubbidienza facendogli passare tre giorni e tre notti dentro la pancia di un grosso pesce (immaginate la puzza, i succhi gastrici ed eventuali liquami dentro quel ventre negli abissi marini). Finalmente Giona pentito, loda e adora Dio, quindi è vomitato dal pesce (di nuovo, immaginate di essere coperti di vomito verde o giallognolo) infine, dopo una bella doccia, sottomesso a Dio, s’incammina verso Ninive. Per 40 giorni e 40 notti predica il giudizio di morte e, in seguito, anziché fare festa per centinaia di uomini, donne, bambini, lattanti, anziani e animali coperti di cenere e sacco in dimostrazione di pentimento e supplica a Dio, mette il broncio perché Dio aveva graziato l’intera popolazione, anziché punirli con un castigo che, secondo lui, meritavano. “Giona ne rimase molto contrariato e, preso da sdegno, pregò: «Signore, già prima di partire da casa, lo dicevo che sarebbe andata a finire così. Ecco perché ho cercato di fuggire verso Tarsis! Lo sapevo che sei un Dio misericordioso e buono, molto paziente e benevolo, pronto a perdonare e tornare sulle tue decisioni e a non punire. Quand'è così, Signore, tanto vale farmi morire. Per me è meglio morire che vivere»”. E Dio rispose a Giona: “Fai bene a irritarti così?” Conoscete la storia, vero? Dio continuò con il Suo addestramento al profeta imbronciato e, in seguito, Giona rispose a Dio: “Sì, faccio bene a irritarmi così, fino a desiderare la morte!” (Giona 4) Vi siete mai sentiti come Giona? Io sì. In alcune occasioni mi sono arrabbiata con Dio, anche Asaf (Salmo 73) ha avuto il suo momento di discussione con Dio. 

Ci sono situazioni che non comprendiamo e abbiamo difficoltà di accettare: una delle tue migliori amiche intubata che lotta tra la vita e la morte, con tre figli e un marito in ansia; una persona cara che combatte il cancro; tu, che non hai un lavoro, fatichi ad arrivare alla fine del mese e combatti una malattia che devi curare con farmaci molto costosi; centinaia di cristiani sterminati in modo crudele e in pubblico da estremisti fanatici religiosi… devo continuare? Certamente no… Che dire poi quando leggiamo nella Bibbia di ciechi che recuperano la vista, morti risuscitati, zoppi che camminano mentre la persona che ami, o anche te, state combattendo con una malattia cronica, devastante e dolorosissima? Hai pregato per mesi, supplicato, pianto, gridato a Dio e magari litigato con Dio e non vedi nessuna risposta… Ti suona familiare tutto questo?

Amo Dio perché ha tanta pazienza con me, accetta tutti i mei sfoghi, le mie proteste, ha pagato per tutti i miei peccati e, dopo tanti anni, ancora con una voce dolce e amorevole mi dice: “Maria Luisa, fai bene a irritarti cosi?” ed io cocciuta: “Sì, Signore, faccio bene e mi arrabbierò ancora di più.” è ovvio, comunque, che non faccio bene ad arrabbiarmi con Dio, sia perché Lui ha sempre ragione ed io torto, sia perché io non posso vedere oltre al mio naso, quindi non riesco a vedere nemmeno una molecola di quanto Lui stia facendo nel cuore delle persone o quanto sia perfetto il Suo piano eterno per tutti noi, anche per quei poveri cristiani sterminati a causa della loro fede.

Che fare, dunque? Chiedere a Dio perdono per il broncio e forza per non mollare e andare avanti giorno dopo giorno; non indurire i nostri cuori, ma rimanere malleabili nelle mani del Signore. Per me, camminare per fede significa rispondere in ubbidienza alla rivelazione del carattere e dell’opera di Dio, rivelataci soprattutto nelle Scritture, camminare per fede nonostante circostanze o sentimenti contrastanti, fidarsi di un Dio che non ha esitato a morire al mio posto sulla croce, e infine, cantare con Asaf: “Ma io sarò sempre con te: tu mi hai preso per mano, con il tuo consiglio mi guiderai e poi mi riceverai nella gloria. Chi ho in cielo all'infuori di te? Con te, null'altro desidero sulla terra! Anche se il corpo e la mente vengono meno, tu sei la roccia della mia vita, la mia ricchezza per sempre, o Dio.” (Salmo 73:23-26) 




mercoledì 30 novembre 2016

Guerra di Parole





Come già avrete capito questi articoli sono frutto della mia esperienza quotidiana e buttati giù di getto. Sono convinta di non essere la sola a dover affrontare certe esperienze, e condividerle con voi mi fa sentire più normale…

Conosco il Signore Gesù come personale Salvatore e Redentore da 40 anni, ho frequentato tre anni di Scuola Biblica e circa 25 anni li ho trascorsi combattendo con una malattia cronica e molto debilitante, Lupus Eritematoso Sistemico. Con la fede e con la forza del Signore ho affrontato situazioni molto serie e diverse volte sono stata vicina alla morte. Ma sapete una cosa? I miei momenti peggiori non sono stati quelli, ma sono quei momenti in cui non controllo le mie parole o le mie emozioni. Le mie battaglie più grandi le combatto contro la mia lingua che, come dice Giacomo in capitolo tre, è umanamente indomabile e malvagia. Alle volte scelgo il silenzio per fuggire dalla responsabilità di affrontare un determinato problema, un muro verniciato di spiritualità: “Non parlo per non peccare…”. Altre volte, invece, sfogo la mia frustrazione con le mie parole “vomitate” sulla prima persona che “mi provoca”. Vi capita mai di trovarvi in situazioni simili?

Usiamo parole per manipolare gli altri, per avere sempre ragione, per la nostra felicità… a meno che la nostra lingua non sia sotto il controllo e l’influenza di Dio. Negli ultimi tre anni, in diverse occasioni e con diverse persone, ho studiato un libro di Paul D. Tripp, Guerra di Parole. Un libro tanto bello quanto schietto, che ci porta ad auto-esaminarci e ad affrontare il nocciolo dei problemi della comunicazione. Vi consiglio di leggerlo, solo se avete voglia di crescere e di risolvere eventuali problemi di comunicazione. è un libro che fa tanto male al nostro ego, perché siamo messe a confronto della nostra natura umana, ma è anche un libro che fa tanto bene perché ci costringe a glorificare Dio per la Sua misericordia e per il meraviglioso dono della Sua PRESENZA – PAROLA – PROMESSA – POTENZA in noi, tramite Cristo Gesù.

Ecco una breve presentazione dallo stesso autore: «Chi di noi non è stato ferito dalle parole di qualcun altro? Chi non si è mai pentito di qualcosa che ha detto? Chi non ha affrontato una lite? Chi non ha desiderato parlare seriamente con una persona cara, ma non ha mai trovato il tempo? Chi di noi può dire: "Le mie parole sono sempre appropriate alla situazione e sono sempre espresse con gentilezza". è di questo mondo di parole, il mondo che esiste al di là della calma e della gentilezza mostrate in pubblico, che tratterò in questo libro. Se puoi dire: "Io non ho problemi con le parole", allora non leggere oltre. Ma se puoi riconoscere, come me, che esiste un conflitto verbale nella tua vita, se riconosci che ti è difficile comunicare in modo amabile e appropriato, e se pensi di aver bisogno di crescere in questo mondo di parole, allora questo libro è per te […]. Questo libro vuole essere un messaggio di speranza. Tratta infatti del cambiamento che è possibile grazie alla persona e all’opera del Signore Gesù Cristo. Gesù è la Parola, l’unica speranza per le nostre parole! Solo in lui possiamo trovare la vittoria nel nostro conflitto verbale». (Paul D. Tripp)

Vi garantisco che, se vogliamo fare sul serio con Dio, abbiamo bisogno di maestri come Paul, che ci guidino ad affrontare i nostri reali problemi. Ringrazio Dio perché suscita donne e uomini coraggiosi e capaci di farci una “radiografia spirituale”, evidenziando quelli che sono i nostri veri problemi. Uno dei miei obiettivi, quest’anno, è proprio rendermi conto di quanto le mie parole hanno un peso, positivo o negativo, sugli altri e su me stessa. La comunicazione è un grande dono che Dio ci ha dato (se vivi da sola, con uno o due animali domestici, avrai sicuramente sperimentato che alle volte è più facile comunicare con loro che con gli esseri umani - i miei due gatti mi danno sempre ragione e non mi contraddicono mai J ), un dono che va utilizzato al meglio con l’aiuto di Dio.

Per concludere, ecco tre versetti di cui Dio si è servito in questi giorni nella mia vita:  
Salmo 141:3 - SIGNORE, poni una guardia davanti alla mia bocca, sorveglia l'uscio delle mie labbra.  
Proverbi 13:3 - Chi sorveglia la sua bocca preserva la propria vita; chi apre troppo le labbra va incontro alla rovina. 

Proverbi 21:23 - Chi sorveglia la sua bocca e la sua lingua preserva se stesso dall'angoscia.

Grazie per avermi letto.